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22 novembre 2013

Lascia tutto e seguiti.... e attenta a dove cammini.

Lo so che in questo autunno ci sono drammi peggiori: i tifoni, le alluvioni, le telefonate della Cancellieri, i capelli che cadono, le caldaie che non partono...
Ma i patimenti delle coppie che si lasciano? Perchè le coppie, o almeno quasi tutte quelle che conosco io, si sono date appuntamento questo autunno per mollarsi.
Ecco qualche breve suggerimento, giusto così per sopravvivere a questi dolori di stagione.
Se si considera la vita come una grande stagione...

1) Evitate la schizofrenia (specialiste le donne!)
   Care amiche schizofreniche, prendete una decisione: il vostro ex che vi ha appena lasciate non può essere un giorno il mostro di Milwakee, e il giorno dopo l'eroe dei due mondi  a seconda dei ricordi che tirate in ballo, del vostro umore o dei vostri ormoni.
Sospendete il giudizio. Fate passare del tempo tra smoccicamenti, lacrime e letargo.
Magari, nella migliore delle ipotesi, scoprirete a mente fredda che era solo un uomo (magari con la U minuscola!)

2) Non continuate a farvi del male (specialiste le donne!)
   Ci sono delle cose che sapete bene che vi fanno male ma da cui siete attratte come api dal miele.
Assolutamente vietato: ascoltare ossessivamente le canzoni del vostro primo incontro, analizzare il suo profilo facebook parola per parola, dichiarare morte all'ultima donna inserita tra le sue amicizie, controllare whatsApp ogni tre secondi e vedere quando lui scrive. Immaginare anche  a chi e cosa scriva.
Togliere lo stato sentimentale su fb di "Impegnata" e sostituirlo con il finto allegro "vedova".
Inoltre un consiglio serio: tagliatevi le mani. Messaggi, messaggini, whatsApp e telefonate lamentose arricchiscono le compagnie telefoniche ma non la vostra autostima.


3) Liberatevi dai fantasmi (specialiste le donne nel crearli)
Dimenticate coincidenze, armonie astrologiche e il suono del suo nome.
Tenete bene a mente le frasi "non mi era mai successo con nessuna","è come se ti avessi sempre conosciuta", "Ti amo" e fatevi venire l'orticaria ogni volta che avrete l'occasione di risentirle dire da un uomo.  Se sono scritte ancora meglio, "scripta manent" dicevano i latini.


4) Perdonatevi.
 Non reciprocamente, questo non importa.
Perdonate voi stesse. Per essere state così cretine da scambiare un rospo per un principe, per aver solo sospettato che le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, fossero le sue, tanto per citare Montale. Per non aver creduto ai mille segnali intorno e dentro di voi.
Perchè tutti si sbaglia. Altrimenti come potrebbero mai avere avuto amore  malati di mente, egoisti, narcisisti, bugiardi patentati, se non ci fossimo state noi?
Se vi sembra che mi stia togliendo qualche sassolino dalle scarpe, pensatelo pure. Pensate bene



5)  "Lascia tutto e seguiti"
    ... e attenta  a dove cammini stavolta......








11 novembre 2013

Ferite reali di giochi virtuali

Ho ritrovato la pagina di un giornale di un paio di mesi fa che avevo conservato, in cui si dava notizia di un fatto curioso che mi aveva colpito. Due sposi in crisi, dopo aver scoperto che la persona di cui si erano innamorati in una chat su internet non era altro che il reciproco coniuge, decidono di divorziare.


Non capivo perchè questa storia modesa, consumata in una piccola città della Serbia, mi avesse colpito tanto allora, ma l'ho capito oggi.
Perchè questa notizia aveva in sè delle mie "ossessioni":l' inganno e l'identità.

Sono gemella e pur non avendolo mai fatto, ho avuto negli anni della scuola la possibilità, diciamo pure il potere, di ingannare sulla mia reale identità.
Con i documenti di mia sorella in borsa, io smetterei di essere Viorica da un momento all'altro, almeno per chi non mi consoce bene e potrei cominciare una esistenza diversa. Nemmeno la prova del DNA aiuterebbe a discernere le nostre identità: in quanto gemelle omozigote abbiamo lo stesso DNA.  Terribile e meraviglioso insieme.
L'unico esempio in natura.

Ma quella notizia, oltre che per questioni diciamo così, "familiari", mi ha colpita perchè quello della menzogna, dell'inganno a se stessi e agli altri, è il tema della nostra epoca.
Per i nostri sposi la scoperta della loro reale identità svela un doppio inganno.
Il primo è l'inganno che ciascuno aveva perpetrato ai danni dell'altro compagno di vita.
C'è di peggio, lo so.
Il secondo inganno invece è quello più grave, è verso se stessi e riguarda la propria identità.
Quando il rapporto virtuale diventa reale, nasce l'impossibilità per entrambi di perseverare nella menzogna, nella finzione del proprio io.
Ognuno ha inventato un proprio sè a misura dell'interlocutore,  non con cattive intenzioni poichè probabilmente quello era veramente il sè che ciascuno desiderava davvero...

Ecco, mi stavo domandando quanto con internet e facebook ciascuno di noi finga o si costruisca un "personaggio" (magari non poi così distante da quello che in realtà è) e quanto potrebbe andare lontano nella finzione....
Tra gli "amici" di tante persone, profili falsi, persone inventate che non esistono nella realtà ma che esistono in quella terra virtuale dove l'immaginazione gioca ancora un posto di primaria importanza.
Donne (o presunte tali) che hanno come immagine del profilo modelle bellissime, gambe inguainate in calze nere o altre foto seduttive...
Nonostane si sappia che non rappresentino quella persona, si gioca a lasciare che gli altri, ci colleghino a quella immagine che accende un immaginario particolare. Lo stesso fanno alcuni uomini (o presunti tali), nonostante magari leghino la loro immagine a uomini valorosi, a simboli.
Si sa che l'immaginario maschile è più legato al "visivo", mentre quello femminile è più "evocativo"....

Io lo ritengo un gioco, ma un gioco con un meccanismo direi "pericoloso".
Non c'è cosa che più attragga del sogno.
L'immaginario che scavalca la realtà. E' come innamorarsi di un marchio, di un brand.
Ricerchi  illusioni,sogni e desideri. Non persone reali.
Quindi, se comunque si sa che è un gioco virtuale, si sia sempre attenti e consapevoli che le ferite possono essere reali.

23 ottobre 2013

Sulla giusta strada

 Un mio racconto che verrà pubblicato insieme ad altri 25 scrittori....
 
 Sulla giusta strada
A tutte le strade del mondo che custodiscono l'eco delle nostre vite

Come una palla gialla che rotolava in discesa verso di me. Questo mi ricordo.
Di essermi piegato, di averla guardata da vicino, questa cosa così gialla e poi non così tonda come mi era sembrata da lontano, in contrasto con il grigio dell'asfalto della strada.
Forse è stato un sogno. Perché poi non ricordo più nulla, devo essermi svegliato.
Prima della cosa gialla invece è tutto chiarissimo tanto da sembrare reale, perché è quello che faccio tutte le mattine:girello per la città e poi mi fermo a guardare gli operai lavorare sulla strada:quello con il martello pneumatico, quello che scava dentro la buca, gli altri che preparano i marciapiedi e la rotonda sul viale.
Era una vita che non sognavo più. Anche da giovane non è che sognassi molto e poi anche quando lo facevo non li tenevo a mente i sogni e nel riaddormentarmi avevo già dimenticato tutto.
Deve essere questa nuova giovinezza, il cambiamento d'aria, l'aver lasciato la casa, forse perfino la morte di mia moglie.
Con lei la malattia è stata veloce e quasi indolore, non è mai stata sopraffatta per fortuna, dal dolore intendo o almeno questo è quello che mi è sembrato. Un po' dimagrita sì, i capelli più radi per via della cura e i pomeriggi a letto per riposarsi. Ma alle quattro si alzava e ricominciava ad organizzare tutto, a cucinare, a fare spesa, a stare al telefono con la sorella, ad andare a messa.
Pensavo che la morte fosse più dolorosa. Invece è solo improvvisa. Anche quando la aspetti. Un attimo prima respiri, un attimo dopo non più.
Lei è diventata subito chili di album di foto, una tazza della colazione nel lavello, la pentola degli avanzi di ieri sul fornello spento.
Ma non ce l'ho fatta a soffrire per la sua mancanza, perché Cesira era una donna troppo pratica per potersi innamorare, per avere un qualsiasi trasporto. Anche per farlo provare un trasporto ad un uomo, soprattutto ad uno così tiepido come me.
Via da un momento all'altro i suoi orari, le abitudini, i pranzi infiniti della domenica i brontolii per ogni minimo ritardo, l'accompagnarla dal parrucchiere ogni venerdì, il rito del piegare le lenzuola da stirare per sentirsi dire che non ero bravo nemmeno in quello, tutte le regole, tante regole e inutili che però senza quasi accorgermene mi avevano fatto tollerare la vita che altrimenti era senza senso. Ad ottanta anni insomma mi ero quasi assuefatto alla vita così come la trascinavo da anni.
Una vita di lavoro alle poste. “Laureato in lettere e cartoline” - mi aveva detto una volta con un misto fra disprezzo e scherno affettuoso che mi aveva fatto presagire per la prima volta dopo tanti anni come potesse essere l'amore.
Non si fidava di me, ero un uomo da accudire, senza qualità si direbbe, non sono bravo nei lavori di casa, non sono particolarmente portato per lo studio.
Aveva pensato perfino al suo funerale, delegando tutto a sua sorella che, in casa mia abbracciava, faceva accomodare e preparava il caffè per tutti quelli che venivano a portare le condoglianze. Io stavo su una sedia al pari degli altri e nemmeno piangevo. Nemmeno sapevo dove mia moglie tenesse il caffè, quando me lo ha chiesto mia cognata. Vedete, non avevo diritto di piangere, non ha diritto di farlo un uomo così assente dalla vita reale.
Insomma vi raccontavo prima di quella specie di palla gialla che avevo sognato ieri, del fatto che avessi ripreso a sognare, della mia vita che dopo circa sei mesi dalla morte di mia moglie, era diventata piacevole.
Ma i primi mesi furono i più duri di tutta la mia vita. Non c'è cosa peggiore del silenzio per chi non sa farsi compagnia e proprio questo silenzio che avvolgeva tutto come un sudario mi fece sentire abissi dentro di me.
Il giorno dopo al funerale, quando non fui svegliato dal rumore della colazione, dal gorgoglio della moka, e anche da tutti i rumori che appartenevano alla casa, come gli scricchiolii di notte dei mobili, rimasi a letto, vigile e con le orecchie tese per udire ogni minimo spostamento e suono, quasi ci fosse un ladro in casa. Fu una ricerca vana quel giorno e tutti gli altri che vennero:solo silenzio.
Era lei che produceva rumori e vita. Io ero quello morto. Anche di notte. Non ho mai russato. Capii subito che la casa con il suo silenzio ed io con il mio non eravamo una coppia ottimale.
Io odiavo lei e lei odiava me, tanto che tutto iniziò a rompersi, piccole cose ma continue: rubinetti che gocciolavano, ante che cadevano, piatti, bicchieri e tazze che si suicidavano.
Se l'abitudine mi aveva permesso di rendere la vita sopportabile adesso il silenzio spazzava via tutti quei minuscoli sforzi quotidiani compiuti giorno dopo giorno in ottanta anni Ero come un tronco mangiato all'interno dalle termiti del silenzio.
Un pomeriggio d'estate alle due mi affacciai al terrazzo. Pensai che con il rumore monotono ed assordante delle cicale, nessuno avrebbe sentito il rumore del mio corpo che cadeva sull'asfalto dal terzo piano. Ero deciso.
Poi guardai l'inferriata da scavalcare, l'altezza e pensai che non sarei stato bravo nemmeno a morire.
Questa mia inettitudine mi fece sorridere.
Decisi infatti di vivere. Lasciai quella casa adesso odiata e mi trasferii in un ospizio. Da qui la mia vita vera comincia.
Mi alzo presto e volentieri con fame sana, tanta forza, saluto i dottori, le inservienti, chiacchiero con gli altri ospiti del centro. Ma soprattutto gioisco delle avversità degli altri, non di tutti, ma solo di quelli che hanno avuto un rovescio di fortuna. Quelli che fino a poco tempo prima erano abili, giovanili che nella vita avevano compiuto imprese eroiche, sempre pieni di donne e di amici ed adesso sono invece su una sedia a rotelle con lo sguardo assente.
Io invece che non avevo mai vissuto, che mi ero risparmiato, sto bene. Mai stato meglio.
Non dico che sia una cosa bella questa che provo, ma certo in vecchiaia non si può migliorare. A pensarci bene, nemmeno da giovane i miei pensieri erano buoni, solo che ero troppo pavido per agire in maniera prepotente, crudele o maleducata.
Preferivo che la vita scorresse su di me, senza mai intervenire.
In questa nuova vita mi piace passeggiare la mattina per la città, sentire i profumi, scambiare qualche parola, guardare i lavori sulle strade anche per ore,,.
Mi approprio un po' della vita degli altri. Mi fa sentire meno solo. Mi piace immaginare, che verbo strano per me “immaginare”, sì, immaginare la vita di chi lavora duro, quello con il martello pneumatico per esempio. Immaginare la sua famiglie, i figli, l'odore della sua casa anche che sa di ragù e non di cavolo come la mia. Anche la carta da parati odorava di cavolo in quella casa maledetta.
Anzi, vi dispiace se facciamo due passi stamattina, torniamo a passeggiare sulla
strada dove c'è il cantiere, dove mi è arrivata quella strana cosa gialla. C'è qualcosa di diverso, ci sono dei fiori legati a quel palo. Bianchi e viola ed un nome scritto sulla fascia con cui sono legati: Damiano. C'è la foto di questo ragazzo, giovane davvero, troppo per morire. Mi sembra un viso rivisto. E' che su questa strada siamo sempre i soliti, in macchina o a piedi, una strada tranquilla con il supermercato in cima, famiglie, la scuola, i platani sui lati.
C'è ancora l'operaio con il martello pneumatico e fa meno rumore di ieri. Oggi è solo, gli altri devono essere in pausa, per un caffè. Lui no preferisce lavorare anche da solo, si vede che è un uomo coscienzioso Salvatore. O almeno credo si chiami così perché i colleghi lo chiamano “Tore”.


Stamattina non c'è un'anima, ma così si lavora meglio. Faccio quello che c'è da fare, faccio tutta una tirata che almeno mi levo il pensiero. Ecco, volevo il pubblico, è arrivato quel vecchio sordo...per l'amor del cielo, non voglio offendere, dico solo che chi sopporta lo “strumento”, il martello pneumatico, per forza è sordo o lo diventa presto. Io ho trentatré anni e forse ci sento peggio di lui che ne avrà un'ottantina e che mi guarda dietro alle transenne. Se non ci fosse lo strumento acceso, sicuramente vorrebbe fare pure due parole.
Lui c'è sempre, tutte le mattine. Credo che abiti al pensionato dei vecchi, mi sa che è solo.
Io solo mai. Prego Dio di morire prima di mia moglie, dei miei fratelli, di tutti, perché solo no, io non ce la faccio. Io posso lavorare tre giorni a diritto, non dormire, posso farmi uscire il sangue dagli orecchi, ma resisto. Fatemi fare i lavori più pesanti, ho fatto quindici anni il muratore e ho lavorato ad agosto sui tetti a quaranta gradi perché quando il lavoro c'è bisogna farlo e se la casa si deve consegnare a ottobre, io la consegno ad ottobre. In silenzio e si lavora a testa bassa. E che sarà? Torni a casa, ti lavi, mangi e te ne vai a dormire in tranquillità, a casa dalla famiglia.
Ma la solitudine no. Io non ho studiato e magari quelli che hanno studiato lo sanno come comportarsi nelle situazioni, non fanno i drammi, sono uomini di mondo e tutto gli scivola addosso. Nemmeno gli viene da piangere a loro.
Anche le donne sono più forti per queste cose di noi, hanno più volontà, non si perdono d'animo. A mia moglie, gli è morto il padre da piccola, un fratello si drogava ma poi è guarito. Magari piange, piange anche guarda i film d'amore Rosaria, ma lei è forte e ha un carattere bello. Dice lei che canta sempre durante il giorno a casa. Io non ci sono a casa con lei, ma ci credo. Prima che nascesse Claudio, io dicevo sempre a tutti: quando nascerà nostro figlio, deve avere la forza mia e il carattere di mia moglie.
Quando dovetti chiudere l'impresa edile quattro anni fa e non avevo più un lavoro, lei disse che tutto si sarebbe risolto, che stessi tranquillo, però lei lavorava a fare le pulizie non più da tre famiglie, ma anche in due uffici e tornava a casa sempre tardi. Io battevo la testa nel muro, andavo in tutti i cantieri a sentire se c'era bisogno e tutti scuotevano il capo e dicevano della crisi. E allora andavo a parlare con il sindaco che mi diceva che l'edilizia era in crisi. E che ci voleva una laurea per dire questo? Io volevo solo un lavoro per portare i soldi a casa .
Sentii tutte le agenzie di facchini, di traslocatori, di falegnami, idraulici, tutti lavori che potevo fare o che avrei imparato velocemente. Nulla. Andai avanti per mesi avanti e indietro prima con la macchina a fare chilometri, poi con lo scooter per consumare meno benzina. Ma niente, niente niente. E mi scattò qualcosa nel cervello che non ce la facevo più a fare nulla, nemmeno ad uscire per andare a cercare un lavoro che non c'era, per andare ad elemosinare una giornata di paga, quando tutti mi guardavano come se fossi un perditempo, un disgraziato. Uno che non sa provvedere alla propria famiglia, che lascia che la moglie lavori e porti lei i soldi a casa. Non volevo essere la femmina, ero un uomo senza onore così. Stavo sempre peggio, mia moglie oltre ad essere stanca, era sempre preoccupata e non faceva altro che dirmi a cena ”Cos'hai, cos'hai, vai dal dottore domani” E io le dicevo “si domani vado” per farla stare tranquilla, ma non ci voleva un dottore, ci voleva un lavoro. Non sentivo più Rosaria cantare.
Stavo a casa e mia suocera che qualche mattina veniva da noi a stirare, un giorno mi disse che non era possibile che un uomo grande e grosso come me non trovasse un lavoro. E allora il lunedì che di solito veniva, io trovavo la forza di uscire senza sapere dove andare. Passavo le ore sulla strada avanti ed indietro. Ero fuori di me, nervoso, per ogni minima cosa:urlavo a quelli che mi sorpassavano, mi attaccavo al clacson se quelli davanti andavano troppo piano, come se fossi matto. Una volta ho rischiato di spaccare la faccia ad uno che mi aveva inchiodato davanti ad uno stop. Se avessi avuto un fucile non so cosa avrei fatto, mi spavento se ci penso.
Ma tanto non c'è mai fine al peggio. Pur senza forze, volevo provare a guadagnare qualcosa, provare con le slot machine, che tanto adesso erano sotto casa alla tabaccheria di Michele. Non fatelo mai. Ebbi la sfortuna di vincere: finii i 20 euro della spesa in tre minuti. Ma ne vinsi 30. Il giorno dopo ritornai e ne persi 15, il giorno dopo ancora ne vinsi 20.
Dopo tre mesi avevo bruciato in quel modo tutti i soldi messi da parte per spese e bollette. Lo facevo per la famiglia, avevo l'illusione di poter vincere e di vincere tanto per non far lavorare più nessuno. Mi dicevo che era solo questione di tempo. Mia moglie se ne accorse quando trovò il mucchio delle bollette non pagate che avevo nascosto in fondo ad un cassetto.
Quel giorno decisi che mi sarei ucciso. Da quel momento mi sentii così tranquillo. Accumulavo il materiale in garage, nastro adesivo, plastica, un qualcosa da attaccare al tubo di scappamento della macchina. Mi sentivo di nuovo un uomo. A cena mangiavo, parlavo, mia moglie mi accarezzava le mani e mi guardava di nuovo con orgoglio. Stavo meglio ma non come intendeva lei, contavo i giorni, avevo deciso che fosse giovedì. Ma il martedì a cena mia moglie mi prese le mani come faceva sempre e me le mise sulla sua pancia. “Adesso dobbiamo trovare un nome” e sorrise con le lacrime agli occhi. Io dissi “Claudio” e l'abbracciai.
Quello fu un miracolo. Se mia moglie avesse aspettato a dirmelo, io sarei morto. Come quel ragazzo dell'incidente di ieri, ci sono i fiori qui e la foto, Damiano.
Ce l'avevo sempre avuto in mente quel nome, Claudio, il nome di mio figlio, da quando mi avevano detto che Claudio era un imperatore romano. Io non lo sapevo e per me mio figlio doveva diventare più ricco e più bravo di un imperatore, non doveva vivere come suo padre.
Passò solo un mese da quel giorno che io trovai lavoro come operaio sulla strada. Ora Claudio ha quasi cinque anni e nel garage ci sono i giocattoli di quando era più piccolo.
...Guarda sta passando Antonio, l'autista del 17, no, non mi ha visto. Tra poco passerà anche la signora bella per andare al supermercato, eccola, è ancora più bionda stamattina.



Devo tornare a fare spesa, anche se ci sono stata ieri. Nonostante la lista non ho comprato quasi nulla e per giunta mi sono ritrovata questo sacchetto di plastica tutto rotto. Sembra esploso. Ma passeggio volentieri oggi.
Mi sento così tranquilla, leggera e spensierata come se fossi una bambina. Senza tempo che opprime, senza l'ansia di domani, di un amore che non arriva, di un lavoro da cambiare non appena ho abbastanza soldi. Non è successo nulla di strano tra ieri ed oggi, eppure vedo anche meglio, come se tutto fosse più chiaro, più nitido.
Lo dico a voce bassa perché altrimenti mi direste che sono la solita ottimista che vede il bicchiere mezzo pieno anche quando il bicchiere è in terra in cocci.
Io ho sempre avuto speranza. Ho sempre atteso con speranza che qualcosa cambiasse, a volte l'ho annusato il cambiamento nell'aria, come si annusano i cambiamenti di stagione l'aria appena fresca della fine dell'estate che preannuncia l'autunno, o l'odore dell'estate che arriva con i fiori di tiglio nel giardino condominiale di quando ero piccola.
Ci sono state giornate pesanti, momenti in cui ho detto basta, destini di persone vicine che mi hanno fatto detto che la vita era proprio una gran brutta cosa che non meritava di affannarsi tanto se la fine era quella. Ma sono stati pensieri ingiusti.
Anche quando è toccato a me. Perdere un figlio, di un padre che neppure lo voleva.
A otto mesi. Ne ero io la sola responsabile. “C'è sempre l'imponderabile” mi ha detto il medico quando io gli ho chiesto piangendo perché, dal momento che tutto era sempre andato bene, analisi, peso, misure. Mancava solo un mese.
Imponderabile, è anche bella questa parola, come se il destino si potesse ridurre a qualcosa da pesare, soprattutto a qualcosa che non è possibile pesare e che arriva da un momento all'altro, senza essere annunciato e guasta tutto. A volte aggiusta. Dipende.
Mio figlio aveva un peso invece, era due chili e trecento. Poteva essere caldo, odorare di latte e talco, poteva dire mamma e ha scelto di non nascere. Ha scelto di ritornare quando ci sarà anche un padre da cui essere amato. Ha ragione, piccolo mio. In genere piango quando ci penso. Oggi è come se lui fosse qui con me. Ve l'ho detto, i giorni migliori arrivano, non mi viene da piangere, ma da sorridere come se lo vedessi, biondo come me, con gli occhi che hanno lo stesso colore dei cuccioli dei gatti.
Io ho poche doti, ma una ce l'ho. So aspettare, non mi stanco, sono testarda nell'attesa, Anche se ho scelto non la via più facile, ma quella più veloce per guadagnare. Sono sempre piaciuta agli uomini, forse per questi occhi grandi e chiari che non hanno mai smesso di essere quelli di una bambina, che si meravigliano di tutto. Fuori dalla norma. Le donne ad una certa età hanno gli occhi tristi e basta. Anche stanchi, giusto. Io stanchi, a volte. Come una bambina che ha avuto un pochino di mal di pancia la notte.
Ma adesso a 36 anni posso dire che tra quattro anni mi ritiro e apro un ristorante, un negozio.
L'ho scelto io e non me ne pento. Ho studiato, ho una laurea in sociologia, liceo classico, famiglia benestante che pensa sia correttrice di bozze e lavori a casa. Se ci fosse stato mio figlio sarebbe stato tutto diverso.
Ma adesso andiamo a fare spesa che il sole brilla sulla strada, sono così inutili le parole oggi, quello che sento conta, solo quello.
Comprerò quello che non ho comprato ieri: la frutta, le mele, i pompelmi quelli grandi e così gialli da fare allegria, da tagliare a metà e riempire col riso come faceva mia mamma, il latte, i biscotti, i pomodori rossi e quelli verdi. E poi un mazzo di basilico. Almeno mi pregusto l'odore del paradiso. Perché nel mio paradiso laico ci deve essere solo quell'odore che è quello della gioia della fame dei bambini saziata col pane, pomodoro e basilico.
C'è una salita e una curva prima del supermercato, ma si sta bene sotto ai platani.
C'è una calma assoluta, ci sono pure i lavori su questa strada, c'è un operaio a lavorare, e il solito vecchietto che guarda. Ma non fa il rumore di ieri. Ieri scassava l'asfalto con una rabbia quel martello pneumatico, aveva riempito l'aria di rumore e sofferenza.
Un incidente. Ci sono dei fiori e la foto di un ragazzo, Damiano. Mi faccio sempre il segno della Croce anche se non credo. Abitudine, tradizione. Possa trovare pace, anche quella che c'è su questa strada sotto ai platani, quella che stamattina sento anche io.



Sono venuto a portare i fiori anche io su questa strada, è la mia strada, la percorro in su e giù tante volte con il 17, dalle sei della mattina alle 14 è il mio turno di autista.
Consumo il cemento. Lui invece lo distruggeva per rifarlo. Eravamo simili e avevamo iniziato a salutarci, dopo tre mesi in quel cantiere stradale, sulla mia strada.
Quando lui vedeva l'ombra del mio autobus, alzava la testa dall'asfalto, accaldato e stretto dal caschetto giallo e faceva un cenno con la testa sorridendo, io gli suonavo il clacson in quell'intervallo brevissimo di silenzio. Un bravo uomo, si vedeva.
I suoi colleghi mi hanno detto che avevano visto questa auto che scendeva giù dalla discesa e quando si sono accorti che non girava, hanno cominciato a gridare a Salvatore di spostarsi, di muoversi, di correre, ma lui aveva le cuffie e il martello pneumatico urlava più di loro. La macchina lo ha preso in pieno e ha continuato la corsa falciando un pensionato che era accucciato con un pompelmo in mano.
Doveva essere surreale la scena di questo pompelmo giallo che se ne va per i fatti suoi, quasi trotterellando per andare tra le braccia del pensionato che lo accoglie e non si accorge così della macchina e della morte.
Il pompelmo era parte della spesa della prima vittima, una bella signora giovane e bionda che sorrideva sempre. Anche lei non si è accorta della macchina senza controllo che la investiva scaraventando la borsa della spesa lontano e facendo rotolare via tutto per vari metri.
Il ragazzo della macchina, una punto nero, non era di questo quartiere, andava a lavoro. Un malore, si dice. Porto i fiori per tutti e quattro.

16 settembre 2013

Pole l'omo non sentirsi cretino in palestra? NO - Il dibattito è aperto.....

Può darsi che domani inizi ad andare in palestra. Ormai ho pagato.
Forse più probabile che inizi domani l'altro. Di martedì, tanto per non farsi mancare nulla, di sfiga intendo. Con l'arte di marte non ci si scherza...
Comunque l'ho presa bene questa cosa della palestra:sabato pomeriggio dopo l'iscrizione sono andata  a prendermi un gelato enorme. Così, per compensare lo sforzo, per consolarmi soprattutto.
Ormai ho pagato, come dicevo prima.
Non è che sono allergica al movimento. No, no, mi piacciono le passeggiate contemplative in campagna, a passo veloce anche e anche "camminare la sera con un amico a parlar del futuro" come dice Dalla  in quella canzone capolavoro.
Non sono contraria nemmeno allo sport. Fino a 18 anni ne ho fatto tanto, pallavolo agonistica.
Bassina, troppo, ma brava. Si sviluppano altre doti quando si sa di non poter arrivare a murare a rete. Difendere dietro con agilità e prevedere le mosse dell'avversario. Togliergli la soddisfazione di gioire perchè la palla che sembra in terra, un punto scontato, io l'ho prevista  e sono lì, mi tuffo e  non tocca il parquet dove sembrava destinata, ma la mia mano. E mentre le avversarie saltellano quasi convinte del punto, la palla arriva alla compagna alta  a rete che glie la schiaccia nei tre metri, senza incontrare muri. Così in un secondo si blocca la danza di gioia delle avversarie.E si vince. Almeno moralmente.
Un po' un allenamento alla vita: crederci sempre e difendere e incoraggiare chi è con te per un bene comune.
Ma la palestra no!
Io ci ho provato varie volte.
Ho anche i testimoni:Massi, Manu e mia sorella alla palestra dello stadio. Ambiente allora da Bulgaria anni 70. Io con la mise di una che è sbarcata da un barcone della speranza,felicità sotto ai piedi.
Macchinari paleolitici e una scheda incomprensibile che nemmeno guardavo. Me li inventavo gli esercizi. Quei pochi che facevo. L'ora passava a chiacchierare con mia sorella, anche lei una forzata del fitness, e a disturbare quegli altri due e a farli ridere...
Altre volte è andata meglio. Peggio era difficile.
Primo mese fogata, secondo mese una volta  a settimana, terzo mese non pervenuta....
E adesso Zumba (si dirà lo zumba o la zumba o los zumba, mah!). Vi rendete conto!
Una roba da ballo di gruppo nei villaggi turistici...tipo "siamo i watussi, siamo i watussi"...tutti insieme a fare i cretini con quelle mossettine, nessuno che si vergogni. E' questo secondo me l'inspiegabile.
Il pudore. Cioè la mancanza di pudore, di un barlume di senso critico.E' possibile non sentirsi cretini? No.Dico io. E quando lo dico mi prendono per la solita snob del cavolo.
Ci provo ad adattarmi.
Ecco, ora vado in palestra, faccio TUTTO quello che vogliono loro, sto zitta, faccio zumba, GAG,e altre cose con nomi strani, faccio le mossettine e sorrido anche.
Cerco di fare l'inserita con un abbigliamento consono alla palestra, non da colf che ha appena svuotato la lettiera del gatto.
Nello spogliatoio prometto di fare  anche la carina, farò conversazione con le altre, vedrò di sbagliare qualche congiuntivo, non mi lamenterò se sono piegata in due dal dolore ai muscoli atrofizzati, ma continuerò a sorridere stoicamente. Ah, se mi verrà da svenire per lo sforzo e per  la pressione bassa, non darò neanche noia. Sverrò mentre son distesa a fare gli addominali.
"Se bella vuoi apparire, un po' devi soffrire". Il prossimo che me lo dice non si sa dove lo mando...è chiaro che lo faccia per questo, mica per la salute...niente colesterolo, reumatismi, e roba da vecchi...
Nonostante questo, non lo so quanto  io possa resistere. Ci sono delle cose più forti di noi...
Pregate per me.
Io intanto mi mangio un altro gelato.

26 agosto 2013

Un mondo di baccelloni

Ho visto con i miei occhi le trasformazioni di una edicola cartoleria, nata quando facevo le scuole medie e passata in mano a due differenti gestori.
Negli anni '80 era piccola, nascosta, vicina alle scuole, ed odorava di lapis e di quaderni nuovi. Ci si fermava per comprare i fogli protocollo, il compasso, i cartoncini bristol e qualche quaderno (pochi, si compravano a pacchi alla Coop per risparmiare!).
Negli anni ’90 si trasferì in zona più visibile ed insieme a giornali e prodotti per la scuola, aveva un bel reparto per oggettistica da regalo rivolta a bambini ed adolescenti: pupazzetti, soprammobili e altri ninnoli che piacciono a quelle età. Era tutto molto colorato e ben visibile, curato. Qualche anno fa si trasferì su un vialone di passaggio ed è stato allora che ha perso qualunque identità.
Adesso potrebbe essere un bazar turco o un Money Transfer di qualunque nazione povera: i giornali pochi e mal disposti, reparto regali azzerato, tutto lo spazio è per gratta e vinci, superenalotto, win for life.
C’è addirittura un distributore di bibite e uno sgabello accanto ad un piccolo tavolo sempre sporco di “grattate” dei tagliandi. Serve a trattenere i giocatori, immagino, questa misera accoglienza e rifocillo!

A me in quel clima da stanza del metadone, vien voglia di scappare subito, ma nell’attesa del mio turno (non per giocare, ma per pagare il giornale) trovo motivo di divertimento persino lì.
Nascosto da enormi pubblicità che indicano i giochi scorgo un pezzettino di “decalogo del gioco responsabile”, compilato da una
azienda italiana che gestisce i giochi dati in concessione dallo Stato, il cui logo è orgogliosamente in gran vista.
Sposto il cartello che lo nasconde in parte e leggo.
“1
 Il gioco per me è un divertimento: il gioco non è un modo per fare soldi.”
Un po’ come la testimonianza della Minetti che aveva rapporti con Berlusconi non per soldi, ma per amore.
Ma le perle continuano. Segnalo queste:
“5
. Non mento sulle perdite e sulle somme spese per il gioco.
Mi suona familiare come le prime confessioni in chiesa al prete da piccola “ho detto le bugie alla mamma che non ho finito i compiti”
Ah, però da questo capisco che si può perdere denaro…ma tanto si era detto che si gioca per divertimento!Yuppi!!!
Ma lasciatemi arrivare al decimo ed ultimo punto:  “
Non penso al gioco in modo ripetitivo per tutta la giornata, anche se non sto giocando.”
Questo invece mi ricorda il film di fantascienza con i “baccelloni”(“l’invasione degli ultracorpi”) che ha terrorizzato la mia infanzia, in cui extraterrestri sostituiscono in copia perfetta gli umani, che uccidono durante il sonno, creando copie senza sentimenti. Questi baccelloni replicanti sono tonti e solo loro potrebbero dirsi fra sé e sé comandamenti del genere.
Il giocatore patologico no. Quello gioca e basta. Punto.

Io capisco che ognuno debba lavarsi la coscienza e scaricare le responsabilità e mi piace che lo faccia creando buonumore in giro, facendo ridere la gente sana. Quella dipendente da gioco o i meno “attrezzati” culturalmente può darsi che ridano molto meno, anzi può darsi che non leggano questo utilissimo decalogo, e quindi siano costretti al pianto e alla disperazione, alla rovina.
Ecco la “mia” cartoleria che odorava di buono, di lapis e di quaderni, adesso non ha più nessun odore. Del resto, come dicevano saggiamente i latini “pecunia non olet
(traduzione : il denaro non ha odore)






Pubblicato su "Parole in Circolo" - luglio 2013

15 agosto 2013

Di chi ti innamori adesso, se sei cresciuta con Actarus?

Qualche settimana fa sulla spiaggia, partì a tutto volume la sigla di un cartone animato di quando ero piccola "e difendiam la terra, dall'ombra della guerra...": Daitarn III
Io me la ricordavo tutta, sebbene non amassi alla follia quel cartone troppo realista:Haran Banjo (ebbene sì, dopo trent'anni che ho continuato a chiamarlo Alan Benjo, Google mi dice che ho sempre sbagliato!) era arrogante, donnaiolo e inaffidabile. Un italiano medio, insomma.
Secondo me vinceva un po' per culo e un po' perchè i meganoidi erano dei nemici veramente coglionazzi. E poi non si sapeva mai da che parte stare, dove fosse il bene e dove il male.Troppo confuso.Succedeva infatti che qualche meganoide infelice o perchè avesse perduto l'amore della sua vita o perchè mai riconosciuto nel suo reale valore, decidesse di immolarsi e di trasformarsi in mostro, megaborg, con grande dolore.
Morte sicura in battaglia, ma combattuta con la rabbia degli ultimi contro quel fighetto che sapeva solo aspettarsi l'aiuto del sole per vincere con l'attacco solare.
Qualcuno di questi mostri era più umano di Daitarn e anche allora spesso non avrei voluto che i meganoidi fossero uccisi, se non altro perchè dimostravano una psicologia ben più profonda del nostro basico "eroe" Haran  Banjo.
Io invece amavo Actarus e non era difficile dato che era perfetto.
Goldrake, Atlas Ufo Robot, fu il primo cartone in cui il protagonista fosse un robot, una rivoluzione. Prima non esisteva niente di simile. Prima di lui solo storie  zuccherose o tragiche di bambinelli tipo Candy Candy, Heidi, Remì.
Dopo di lui invece una serie infinita di robot e mostri, nessuno mai alla sua altezza se non Jeeg, con Iroshi Shiba che diventava lui stesso la testa del robot.
Pensate voi, che da un giorno all'altro, nell'ora della merenda, ti arriva Goldrake con quel figaccione ombroso di Actarus, che distrugge il male e va, con l'alabarda spaziale. Roba da rimanerci secchi, da farti andare di traverso il pane e pomodoro o la pastina con il succhino...
Per creare Actarus, questi maledetti giapponesi devono aver studiato un bel po' gli eroi greci:bello come il sole, schivo, coraggioso, con una tristezza e un mistero nel cuore perchè arrivava da una stella lontana, un piccolo principe valoroso e romantico.Ulisse in confronto è poca cosa.
Son sicura che tutte le bambine lo amavano.
Perchè davvero "io sto tranquillo se ci sei tu" come diceva la sigla.
Perchè era chiaro che era uomo affidabile e invincibile, che avrebbe lottato fino allo stremo, consapevole che se falliva, il genere umano sarebbe stato sconfitto. Lui lo sapeva e non rideva mai. Mica come quel fantoccio di Haran Banjo che io nemmeno la mia Micra gli avrei fatto guidare...!!
Con Goldrake noi bambini sapevamoo chi era il male e chi il bene: io combattevo insieme ad Actarus ogni pomeriggio.Dopo ogni puntata ero sfinita, ma felice. Mi guadagnavo la merenda insieme a mia sorella, anche lei provatissima dal combattimento. E che pena quando  ti accorgevi che non compariva la scritta giapponese che significava "fine", ma che l'esito del combattimento si sarebbe deciso l'indomani...un peso insopportabile da sostenere nel tuo piccolo cuoricino...
I mostri di Vega erano terribili, cattivisisimi e senza pietà e Actarus, pur nella sua infinita bontà e saggezza, dominava comunque il male.Diciamo che uccideva senza sangue.

Io guardavo i bambini a scuola, i miei compagnetti di classe, i "maschi" per ritrovare una scintilla di Actarus, ma vedevo che, oltre a disegnarsi sulle nocche delle mani dei cerchi e nell'unire le nocche delle due mani per tentare di diventare Jeeg robot d'acciaio, non facevano altro. Tutto qui.
Ecco, già allora pensavo che i maschi erano indietro e veramente limitati.
Oggi, con un eufemismo, direi essenziali.
E più guardavo i miei compagni di gioco e più capivo che Actarus era amore vero: mai che abbia pensato"sì mi garba, ma che pantaloni a zampa inguardabili!" oppure "bellino se ogni tanto sorridesse", come avrei fatto per i sub-umani dei miei amichetti.Un sentimento alto sopra ogni banalità.

Mi chiedo davvero come la mia generazione di donne, possa serenamente innamorarsi di uomini normali dopo essere cresciuta con il modello di eroe - Actarus.
Duro il confronto. In poche ce la fanno a superare questo conflitto.Credo che le più dimentichino e si accontentino di subumani che sanno tutta la formazione della loro squadra compresi i nomi dei dirigenti, accompagnatori e massaggiatori, ma che ignorano il nome del presidente della Repubblica.

Certo anche Actarus alla lunga potrebbe avere i suoi "contro": ogni volta che dice "vado a lavoro", tu vai ad accendere un cero alla Madonna perchè non sai se torna contro i mostri di Vega. Oppure pensa solo alla tristezza di stare con uno figo come lui, che però non ride mai, non si rilassa mai e che non puoi portare alle feste di Carnevale perchè sembra già mascherato...
Meglio allora un umano che combatta una sana lotta contro i Vegani per mangiarsi una bistecca o che rida insieme a me delle nocche disegnate da bambino, riconoscendo che i maschi sono creature semplici davvero. Sarebbe già tanto un po' di autoironia...proprio tanto...

20 aprile 2013

E' tutto da rifare....

 Grillo parlando del fatto che i vari candidati del PD a presidente della Repubblica spariscono uno dopo un altro, cita "Dieci piccoli indiani" di Agatha Christie.
A me pensando al PD viene a  mente qualcosa di molto meno letterario: il detto toscano "si fa come il marito che per far dispetto alla moglie, si dà una martellata sui coglioni"
Il candidato c'è: Rodotà ma il PD non lo propone, perchè questo nome è uscito dalle consultazioni on line della base del Movimento 5 stelle, immagino.
Non comprendendo che Rodotà appartiene strettamente alla sinistra, strettamente al pd e all'idea di politica alta. Io vedrei la candidatura di Rodotà da parte dei grillini  come qualcosa di positivo,  il riconoscimento di una personalità "nostra".
Ottusi  da non capire che il vero male lo fanno a se stessi. E alla nazione.
E si fanno molto male quiando, dopo l'acclamazione  di Prodi, ben 101 membri del pd, tradiscono e non lo votano. Siamo stufi di correnti interne, di dissidi, di calcoli e mosse strategiche. La misura è colma.

Sono stufa di politici che invece di essere onorati di servire e governare il Paese, pensano invece di essere a scuola, in quelle scuole private dove si cazzeggia, dove i figli dei ricchi sono talmente tracotanti ed incivili che i professori abdicano alla loro missione di educatori Sono questi che  scrivono sulla scheda Gustav Thoeni o Valeria Marini o Rocco Siffredi. Prenderli a calci a due a due finchè non diventano dispari, oltre che l'interdizione da ogni carica pubblica?

Adesso siamo al Napolitano bis. Grande stima per quest'uomo responsabile e con un forte senso dello Stato, ma grande povertà politica e intellettuale intorno. Da destra e soprattutto dalla mia sinistra.
Mi sento tradita. Tutto qui. Scusate se è poco.


5 aprile 2013

Tutta colpa del passaporto - Ruby Rubacuori docet

Ruby Rubacuori era oggi al tg ripresa sulle scale del palazzo di giustizia di Milano. Leggeva.

In parole povere, ma parecchio povere, la poverina  difendeva il suo onore bistrattato. Ammetteva poi di aver detto qualche bugia. Piccolezze.Tipo di essere parente di Mubarak.
Ma d'altra parte questo cognome l'aveva scritto sul passaporto, qundi era lecito (se lo era scritto a penna??).

Allora, a questo punto ci fermiamo.
Ho io una bella storia.

Io ho sei anni meno secondo il mio passaporto.
Il giovane carabiniere che quindici anni fa prese i miei dati, non credo che abbia fatto una gran carriera. Gli capitai  in caserma nel pomeriggio più caldo e vuoto di luglio.Mi accolse con un misto di galanteria e gioia, incredulo che in quella noia mortale potesse arrivare addirittura una ragazza.Per richiedere il passaporto per giunta. Zero difficoltà.
Si fece pure qualche etto di cavoli miei ("ma signorina, non andrà mica da sola in quei posti?") Sharm El Sheik, non Africa nera...
Il fatto che fossi fidanzata non riuscì ad affossare la sua ritrovata vitalità e si offrì, come gesto cavalleresco, di compilare lui il modulo per la richiesta del passaporto.
Io rispondevo. Lui scriveva.
Avrebbe inoltrato poi il modulo in questura.

Riassumendo, quando dopo quindici giorni, tornai a ritirare il passaporto e lo aprii, notai che la data di nascita era sbagliata, non 1972, ma 1978...al carabiniere ero sembrata più giovane!
Fui però quasi offesa...solo sei anni meno dimostro??? Almeno 8-10...via...uno sforzettino si poteva pure fare...
Mi riprese il passaporto, lo rimandò in questura a Firenze dove lo corressero, (immagino sbeffeggiando l'Arma), ma inserendo un asterisco sopra l'anno e solo nella pagina successiva  la dicitura "leggasi 26/09/1972"


Questo vuol dire che se io metto il pollicione sull'asterisco, non c'è nipote di Mubarak che tenga: sei anni meno...ma volete mettere il potere della gioventù contro quello dei soldi?
D'altra parte, come Ruby  Rubacuori insegna, è scritto sul passaporto....che ci posso fare?
Forever young, yeah!!

Vio Fregafegati



3 aprile 2013

La primavera intanto tarda ad arrivare...

La primavera tarda ad arrivare quest'anno e le strade sono piene di  sale  slot e di negozi di sigarette elettroniche.
Il prete quest'anno non ha lasciato nella cassetta della posta, il solito biglietto scritto a mano con  la data della benedizione delle case e mi ha tolto perfino quel piacevole dubbio "Mi faccio trovare in casa?"
La mia migliore amica da piccola si nascondeva nell'armadio insieme a suo fratello quando veniva il prete a benedire, e ancora adesso provo rimpianto per non aveci mai pensato quando potevo farlo....

A lavoro, durante le feste pasquali, sono entrati i ladri, forzando la portafinestra che si affaccia sul terrazzo e hanno rubato un computer portatile.  I carabinieri non sono nemmeno venuti a vedere. Ci hanno detto di andare da loro a sporgere denuncia. La routine dei furti con scasso. Riuscirò ad abituarmi?
Ci hanno lasciato Enzo Jannacci e Franco Califano.
Gigi D'Alessio continua invece a cantare.

I grillini faranno un sondaggio on line per scegliere il Presidente della Repubblica.
La scelta sarà tra Jovanotti, Nonna Papera (la prima grillina "ante litteram"schierata contro chi non fa il proprio lavoro, lo svogliato Ciccio) e il cassiere del supermercato vicino a casa mia, che è una persona onesta e una volta ha perfino riportato al proprietario che l'aveva smarrito, il portafogli con i soldi dentro.

Il Governo non c'è. Il lavoro nemmeno e le mense della Caritas sono ogni giorno più affollate.

Un sindacato di polizia appoggia 4 assassini in divisa che hanno ucciso un ragazzo, quando  dovevano semmai proteggerlo e protesta per le sentenze sotto l'ufficio della madre, una grande donna coraggiosa.
E tante altre donne  invece muoiono, uccise dalla mano di uomini rabbiosi che non conoscono l'amore...

Povera patria! Battiato scrive un testo meraviglioso e duro con questo titolo.
Per una frase ugualmente dura, ma vera, viene trombato.
La primavera intanto tarda ad arrivare.




3 marzo 2013

Ruzzle: la democrazia è in gioco!


Sono esclusa dalla comunità di quelli che giocano a ruzzle. Per questo li odio tutti.
Proprio io che amo così tanto le parole, che mi fisso sulle radici, la provenienza, le desinenze, il latinorum, ecceterea eccetera...ecco proprio a me viene fatto un affronto simile!!
Io non posso giocare solo perchè non ho un iphone o un sistema android, da quanto mi è stato spiegato:bella democrazia del cavolo, ruzzle, complimenti!

Ho un Nokia di 2 anni e mezzo, (che in età tecnologica, un po' come succede per l'età di cani e  gatti, corrisponde circa  a 150 anni),  a cui sono affezionata, se non altro perchè ha ricevuto il mio imprinting da matta metereopatica: quando il cielo è grigio, non carbura e si spenge improvvisamente, altri giorni invece ha la batteria sotto ai piedi, ma basta un po'di riposo e magari un incoraggiamento che torna bello carico.
 Inoltre telefona e va su internet e io non potrei desiderare di più...!!Usque ad mortem (sua), sarà con me!
Certo, non lo tradirò solo per poter accedere a ruzzle.
Per una questione di fedeltà, rinuncio all'unico gioco a cui mi sarebbe piaciuto giocare.
Certo, ho provato con un sostituto, un'imitazione che si chiama Zuffle, ma dà problemi  di caricamento e soprattutto mancano tutti i mie amici da sfidare...un po' come giocare da sola in serie C con un pallone sgonfio...

Mi consola il fatto che a ruzzle diventino campioncini anche quelli con problemi di "congiuntivite" ("non abbino a pensar male!"), quelli che sbagliano le parole ("ho uno strappo a il linguine" ...furoreggia tra gli amatori dei campionati uisp dalle nostre parti!) o quelli che ignorano completamente i significati ("non tapparmi le ali!").
E invece io pensavo che ruzzle premiasse esclusivamentete chi ha un vocabolario ricco, chi legge, chi studia, chi ama le parole...Molte volte è anche questione di allenamento, di uno "spippolìo" casuale  e frenetico che compone monconi di termini a cui non penseresti, ma che invece il sistema accetta.
E tu che invece da bambina ti perdevi dietro al gioco in scatola Scarabeo con le sue leggi ferree (niente nomi di persona, niente città, nein nein, niente di niente insomma),con quella clessidra che sembrava scorrere più veloce del normale, eri costretta a parole vere, ragionate, difficili...
A questi patti, non mi interessi più caro Ruzzle! E poi son le cose difficili che restano nel cuore, sono le imprese, le sfide vere...
Anche i giochi possono essere specchio dei nostri tempi: antidemocratici perchè escludenti una fascia di coloro che non seguono le leggi del mercato (o che non possono permettersi di spendere), che provocano odio negli esclusi, che premiano la casualità e non sempre il merito, senza regole certe.
Abbasso Ruzzle, Viva Scarabeo!


24 febbraio 2013

Ellenisti anonimi cercansi

Oggi si vota.
Senza grande passione, per quanto mi riguarda.
Anche se domani sarò lo stesso a tifare, quasi fosse una partita, ad ascoltare dati, numeri che salgono e scendono, percentuali e commenti
Mi dispiace che non ci sia più Emilio Fede. Anche togliendo il volume, solo dall'espressione della sua faccia, si capiva come andavano le cose...


Voto senza passione.
E comincio a pensare che sia colpa della politica e quindi anche colpa mia.
Premetto che il mio ideale di politica si  può riassumere in quello che, secondo Tucidide, Pericle dice agli Ateniesi nel 461 a.C.
Come capirete bene, altri tempi e altri uomini.
Purtroppo il liceo classico a volte fa questi danni, crea gente come me che "c'è rimasta col cervello" in Grecia: la Democrazia, il kaloskagathòs, l'unione di forma e sostanza, il senso dell'onore e dell'ospitalità, la civiltà, l'arte, l'alfabeto....
Credo di aver diritto a dei gruppi di auto aiuto, tipo gli "alcolisti Anonimi", tipo drogati.
Un aiuto  per poter uscire da questa idealità e poter venire a patti con la realtà, nella quale mi sento un po' come Benigni e Troisi in "Non ci resta che piangere". Fuori dai tempi.
"- Ricordati che devi morire" "- Mo' mo 'o segno!"

Davvero, noi "Ellenisti anonimi" si rischia grosso così, perchè non ci si identifica con nessuno.
Quando ci aspettiamo dai nostri politici, quelli più vicini a noi, delle parole di civiltà ("dì' qualcosa di sinistra", per dirla alla Moretti), queste non arrivano mai o arrivano tardi o non così limpidamente.
Perchè il discorso di Pericle e la mia idea di sinistra sono la stessa cosa.
Gli Ellenisti anonimi sono le persone più politicamente sole che conosca. Ma credo che siano tante.
E come era nel'età di Pericle, oggi, a maggior ragione, serve una formazione "politica" fin da  piccoli, che si respira nell'aria, nell'atteggiamento di rispetto, di cura e di interesse verso gli altri. Di protezione. Come quando i grandi a veglia fuori d'estate  sorvegliavano da lontano noi bambini che giocavamo.I bambini di tutti, non solo i propri.
Io quest'aria l'ho sentita.
Era un sentirsi uguali, senza sapere cosa volesse dire comunismo.Uguali i racconti in ogni famiglia, di fame, di paura, di fascisti e tedeschi la cui lingua ancora intimorisce. Uguali nelle canzoni che erano nell'aria, nei padri la sera in sezione per le riunioni, nelle madri che scrivevano i cartelli a mano per le manifestazioni, che insegnavano a dire "permesso", a far sedere gli anziani offrendo il proprio posto, semplicemente facendolo, dando l'esempio.
Una madre che oltre al latte e al miele mi ha insegnato che gli altri bambini, quelli più strani e magari maneschi, erano uguali a me, e che forse anche io avrei tirato a tutti se tutti mi avessero allontanata o presa in giro. Un padre diverso che, ironizzando su di sè, mi ha fatto vedere che è la dignità che serve a chi è stato sfortunato, non la pietà.Che studiare è importante, che fare sport è importante, ma che al di là dei risultati, stare con gli altri è importante.Condividere spazi, situazioni, ognuno per quanto può, per stare meglio tutti.

Non sento più quest'aria.Nessuna solidarietà.Tanta competizione e guerre, spesso tra poveri.
Senza questa formazione civica e politica di base, vedo poca speranza.Soprattutto negli elettori, quelli che pensano che indignarsi per un post su facebook abbia esaurito il loro ruolo di cittadini,  quelli pronti a dire "tutti a casa" quando leggono degli sprechi della casta ma che se brucia la casa vicina, non si curano, non è un problema anche loro.
Quindi Ellenisti anonimi cercansi. Ma non per essere curati. Ma per essere meno soli.



















21 febbraio 2013

Scritto anni fa....un mio breve racconto

LA VERTIGINE DELLA MATTINA

Alle 6.45 la sveglia suona.
Mario corre in bagno e vomita.
Vomita scalzo, come una fontana, senza nemmeno alzare la tavoletta con la mano sulla fronte come gli hanno insegnato da piccolo, per evitare le vertigini.
Tira lo sciacquone. Ma continua a tenersi la fronte con la mano destra, ancora una leggera vertigine.
Comincia anche a sentire il freddo delle mattonelle, il sudore che ha bagnato il pigiama, l’odore acido del suo vomito. Sono segnali sgradevoli che lo riportano sulla terra. Non c’è nemmeno più il tappeto. I suoi piedi non lo trovano.
La vertigine della mattina”l’aveva chiamata la prima volta, cinque anni fa e poi solo un’altra volta era tornata.
Si era preoccupato. Aveva anche fatto analisi mediche complesse. Ma niente
Mario Rastrelli, 36 anni, professione bidello, era sano.
- Lei somatizza le sue ansie, le sue preoccupazioni, provi a stare più tranquillo, a parlare di più…provi a prendersi una camomilla tutte le sere, vedrà che starà meglio – gli aveva consigliato il medico della mutua.

Alle 7.10 esce dalla doccia.
In accappatoio alle 7,17 accende la moka già preparata sul fornello in cucina.
La moka gorgoglia. Clarice la sua gatta siamese gli si struscia alle gambe e chiede croccantini insistentemente. Non vuole carezze quando è affamata. Solo cibo e il prima possibile.
Alle 7.30 chiude la porta di casa ed esce. E’ aprile, ma l’aria è ancora fredda di mattina. Con un cappello sarebbe stato meglio. Ce n’è uno a casa, giallo, ma è davvero troppo piccolo.
Alle 7.35 è davanti al cancello della scuola. Apre, dieci passi e poi il portone.
Tra un’ora la prima campanella, dopo cinque minuti la seconda.
In genere due o tre bambini arrivano in ritardo e vengono accompagnati dentro dalle mamme distratte. Sempre le solite.
Poi arriva Robertino, in cortile sulla bmx seguito dalla sua mamma giovane, anche lei su una bicicletta bianca da bambina. Lei non entra. Lo saluta senza nemmeno scendere e riparte pedalando con le scarpe lille di plastica e con una busta semivuota attaccata al manubrio.
Roberto, occhi grandi e neri, entra a scuola sempre a testa bassa, quasi a scusarsi di tutto: del ritardo, di come è vestito, della sua famiglia strana.
Si dice che il padre beva, e sia violento, che faccia il muratore e che abbia due mani enormi. Che picchi anche sua moglie.
- Non che se lo meriti, ma stesse più a casa dietro al figlio e al marito…- dicono le mamme con i foulards ai colloqui con le maestre.
Povero Robertino, ma come si fa a non intervenire?
I bambini nel frattempo stanno arrivando. Urlando. Quelli delle prime, delle quinte, con le cartelle, gli zainetti, pieni di merendine e succhi di frutta all’albicocca.
Rumorosi, quasi insopportabili.
Seconda campanella. Arrivano le maestre. Le aule si chiudono e ricomincia il silenzio finalmente.
Arrivano adesso le due mamme ritardatarie con Filippo e Gianna: II B e III C.
- Arrivederci, ci scusi abbiamo fatto tardi.
Filippo e Gianna sono già nelle loro classi.
Manca Robertino. Passano i minuti. Ma stamani proprio non arriva. Forse si sono dimenticati di svegliarlo.


Alle 10 arriva una macchina dei carabinieri, escono in due.
Vogliono parlare con la preside.
Franca, l’altra bidella, corre a chiamarla. Scende trafelata una donna tarchiata con i capelli a nido di paglia
Robertino è scomparso. I genitori si sono accorti che non era rientrato a casa, solo ieri all’’ora di cena. La preside non sa niente.
- A scuola oggi non si è visto – ripete anche Mario sconvolto- me ne sarei accorto se fosse arrivato, è sempre l’ultimo.
Una per una vengono sentite anche le insegnanti. Nulla.
Si decide si parlare anche con i compagno di classe di Robertino, la classe III B.
-Io l’ho visto mentre andavo dal dentista con mio babbo in macchina – dice tranquillo Pierluigi, un quattrocchi con l’apparecchio – era in Piazza Grande accanto alla fontana con un uomo sporco.
I carabinieri lo accerchiano, ma cercano di non spaventarlo
come sporco? Non ti ricordi come era fatto?
- Sporco, ma sporco da lavoro – dice scocciato il quattrocchi – era alto e moro.
I carabinieri tornano ad interrogare il padre, un omone con gli occhi rossi che piange come un vitello scannato. Conferma di avere salutato Robertino davanti alla fontana proprio a quell’ora.
L’ha detto pure agli altri carabinieri che lo hanno interrogato il giorno precedente.
Poi alle 17 la svolta.
Si è sparsa la voce in paese che i carabinieri si sono radunati in massa alla vecchia discarica. Qualcuno ha trovato qualcosa. Interessa molto il “qualcosa”.
Mario arriva lì ansimante, insieme a una quindicina di persone che vogliono vedere mentre si delimita il luogo con del nastro bianco e rosso. Mezzo paese è dietro quel nastro adesso.
Il padre del bambino è a capo basso appoggiato all’ambulanza. La madre è dentro che singhiozza senza lacrime come se le mancasse l’aria e lancia grida come un uccello rapace.
Intorno solo sporcizia, ferri vecchi, lampade, materassi, frigoriferi rotti
Mario disperato cerca di scorgere qualcosa, magari il padre, quel delinquente, ma c’è troppa gente davanti a lui Ma dov’è Robertino? Dov’è? Sgomita e riesce ad arrivare in seconda fila, davanti ai compagni di lavoro del padre, increduli.
Uno di loro si volta e scoppia a piangere, uscendo dalla folla. Mario si insinua e adesso vede tutto. Proprio tutto.
Una manina bianca che esce da un rotolo, un tappeto arrotolato.
- Il mio tappeto! – l’ultima cosa che riesce a pensare. Poi una vertigine forte che lo schiaccia alla terra e un colpo alla nuca. Mentre tutto si appanna, divise nere e rosse su di lui e grida ad ondate:”assassino!”.






16 febbraio 2013

Sarò docile!

"Per accogliere una rivelazione, grande o piccola che sia, basta a volte essere docili termine che indicava in origine la disponibilità a farsi istruire." (Erri De Luca)

Poniamo che debba ricevere una "rivelazione". E non ci importa se grande o piccola, in quanto spesso attribuiamo troppa importanza a eventi che si dimostrano bolle di sapone o invece, al contrario, trascuriamo leggerezze che poi vanno a pesare.
Diciamo però che per lo stato d'animo con cui la aspetto, questa "rivelazione" la sento grande, preoccupante.
Dunque, come vivere l'attesa, come far passare i giorni senza la spiacevole sensazione di essere in apnea, di non viverli appieno, ma di trascinarli fino a sera, solo per barrarli sul calendario in attesa della "sentenza" ?
In fondo, qualunque sia il responso, nessuno me li ridarà indietro  e avrò perduto quello che normalmente amo di più: vivere ogni momento, "ascoltare le piccole cose".

Invece nei momenti più difficili, apnea, rimozione e fuga.La fuga è la via più facile per me. Sconsigliata vivamente ai pragmatici e a chi non ha immaginazione.
Mi parte in automatico.Basta essere ottimisti, ma di quell'ottimismo magico dei bambini. Non pestare le righe del pavimento, dire "tua" (la sfiga!) quando passa un' ambulanza, sapere che se vedi la scia di un aereo per prima, sei amata, che se ti prude il naso dentro (o fuori, non me lo ricordo mai) sono baci, se invece fuori (o dentro?) sono schiaffi, che se conti fino a 10 e non passa una macchina rossa o un gabbiano o un asteroide o tutto quello che hai deciso tu, niente si avvera...

Non proprio così, chiaramente, era solo per farvi avvicinare a cosa intendevo, ma sicuramente inizia la  fuga in un luogo sicuro, per quanto irreale. E potrebbe anche funzionare se non ci fosse quel rompiscatole del corpo, che per citare il titolo di un libro della Yoshimoto, sa tutto. Davvero.
E si sfoga con te, facendoti venire bolle in faccia, mal di testa...ad ognuno qualcosa di diverso, ma solo per esortarti ad aprire gli occhi, e ad uscire da Mirabilandia, ad andare ad affrontare l'attesa semplicemente vivendola, accogliendo paure, ansie, riconoscendo la tua docilità.
Perchè qualunque sia la rivelazione dopo l'attesa, tu sei disponibile ad accettarla e ad imparare a trasformarla nella  migliore delle occasioni per te.



12 febbraio 2013

La neve tornerà come un pretesto

Fin da quando la intuisco dalla luce che filtra più bianca e rarefatta dalle persiane della camera, ecco il vortice di festa nello stomaco, di vacanza, di pallate antiche davanti a scuole chiuse.
La neve dà il permesso per una precarietà gioiosa, mentre lavoro con lo sguardo alla finestra, pronta allo sconvolgimento dell'ordine, per un eventuale  ritorno a casa anticipato per cui non posso sentirmi in colpa. Mi agita tranquillamente, per usare un ossimoro
C'è il ritornello di una bella canzone di Battisti, il cui titolo ho recuperato grazie  a Google,che mi segue da stamattina "La neve  tornerà come un pretesto..." http://youtu.be/VxIsqxJmWic
Mi spiego solo adesso che mi fermo a pensare, il pretesto per cosa.
Per ritrovare una sensazione che  non esiste più: esser senza pensieri.
Un po' come quando da piccolo giocando con gli amichetti cadevi e ti sbuccicavi le ginocchia ma niente poteva interrompere quel divertimento, bastava un pò di saliva e strusciare con il dito. Nessun pensiero se non gioia pura. Ci pensavano gli adulti a rovinare tutto. Tua mamma  che voleva che venissi in casa a curare la ferita  e a mettere il cerotto e non capivi il motivo dato che stavi bene, meglio sicuramente di quando mettevi il disinfettante che bruciava da matti.
Solo la neve mi dà questo permesso, un permesso molto limitato a vivere senza pensieri,sospesa nel momento.
Che mi godo gelosamnete perchè so che finirà tra poco, quando dalla meraviglia di bambina, passerò ai pensieri degli adulti, della neve sulle strade che è pericolosa, dell'economia che si blocca col maltempo, del "proprio oggi doveva nevicare?", come se nulla fosse più rimandabile. Quando passo dalla saliva al disinfettante insomma.
Ho invidiato Bimbi, la mia gatta, quando stamattina uscendo insieme, lei si è girata verso di me con aria interrogativa come se domandasse "Cos'è questa roba fredda che cade?"
Eppure la conosce la neve, ma ogni volta  sembra perdere memoria e torna  a meravigliarsi e ad annusare l'aria, a chiedersi cosa sia questo miracolo
Ecco,ogni tanto scordiamoci chi siamo. Diventiamo bambini o animali. Lasciamoci meravigliare.

10 febbraio 2013

Il piacere è tutto Vio!

Da qualche parte si dovrà pure iniziare...
In genere ci si presenta, perché oltre a chi ci conosce, c'è sempre qualcuno che ignora chi noi siamo.
Questo qualcuno sbaglierà il mio nome, mi chiederà dieci volte se sono italiana e dopo averglielo confermato, all'undicesima rimarrà comunque convinto che io sia rumena o moldava.
Poco importa.
Io sono una che quando c'è da presentarsi , è talmente emozionata che non ascolta il nome di chi le sta stringendo la mano, nemmeno se glie la stritola. E in tal caso bisognerebbe spiegare a certi uomini che presentarsi ad una ragazza non è una gara alla “Over the top”. E che, al contrario, neppure porgere una mano dalla consistenza di un petto di pollo, è un bel gesto.
Non mi piace presentarmi. E' come se parlassi di qualcun altro, la cui vita lineare e un po' noiosa non avesse guizzi, stranezze, manie. Una vita ordinaria. E non è la mia. Me ne accorgo ogni giorno che passa.
Mi risulta difficile anche descrivermi per negazione.
"Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo" dice Montale.
E' un po' come dire “Non so fare 13 alla schedina , né tanto meno zero”.
E quindi abbiate pazienza se mi descrivo come mi diverte di più: giocare con le parole,dare indizi bislacchi perché ognuno mi immagini un pochino alla volta. E quello che è più bello si nasconde tra le pieghe e non è visibile agli occhi di chi non ha curiosità di vedere.
Dunque, dunque...Ecco chi è Vio:
Ride con il sole e con il tramontano. Anche quando prende vagonate di pioggia senza ombrello, ma preferisce il sole.

Annuisce e ridacchia anche quando non ha udito cosa le è stato detto (e magari si parla di stragi e incidenti !! Opppss)

Ha occhi liquidi e le piace la matita nera. Ma non è bello trasformarsi in panda sebbene siano razza protetta.

Dice che dorme solo ancora 5 minuti, e se la chiamano di domenica mattina, sta qualche secondo a fare la “prova voce”
- Stavi dormendo?hai una voce...
- Nooooo, figurati, a quest'ora (c***o, sgamata!)

Odia portare fuori la spazzatura, crede che il porta a porta sia una tortura.

Le viene un sorriso enorme quando vede la scena del bacio in “Notting Hill” e Hugh Grant dice “surreale ma bello”.
Scrive sul divano con il portatile sulle gambe incrociate, con la gatta matta che le dorme accanto e che ogni volta che suona il cellulare, le morde il gomito in cerca di assoluto silenzio ed esclusiva cura.

E' dipendente da gallette di riso.

Colonizza il divano con tutto quello che vuole avere accanto a sé:un Erri De Luca e un Ernesto Sabato acquistati ieri, appena sfogliati prima di gustare il vero inizio, una rivista di arredamento che da due giorni è aperta su un letto meraviglioso di design, da vincere solo inventando uno slogan. E da due giorni la fantasia ha tirato giù il bandone con un bel “Chiuso per ferie”.
Un plaid modello “poeri vecchi, si rassega daiddiaccio”e la scatola del Vivin C che nonostante il mal di testa, si scorda di prendere.

E' l'unica che va a correre sull'argine dell'Arno con Guccini, De Gregori e company nell' ipod.
Infatti non corre. Cammina. Quando arriva “Viva la Vida” dei Coldplay” o “Strong Enough” di Cher però ha un sussulto di orgoglio e fa una mezza corsettina, giusto il tempo della canzone.

Raccoglie conchiglie, fiori e sassi e poi inventa qualcosa per rendere la vita più bella

Dopo la visione de “Il Signore degli anelli” è stremata e felice perchè ha combattuto anche lei contro il male con tutti loro e soprattutto con Aragorn.

Va in brodo di giuggiole se vede qualche scritta in greco e, come ne “Il grosso grasso matrimonio greco” crede appunto che tutto derivi da quella lingua meravigliosa. A volte a sproposito.

E poi ha un segreto. Quando è giù e tutto sembra pesante e più grande di lei, sa risollevarsi e asciugare le lacrime. Braccio di Ferro aveva gli spinaci, lei ha l'aroma del basilico..non a caso Basilikos in greco antico significa....ahahahahah