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21 febbraio 2013

Scritto anni fa....un mio breve racconto

LA VERTIGINE DELLA MATTINA

Alle 6.45 la sveglia suona.
Mario corre in bagno e vomita.
Vomita scalzo, come una fontana, senza nemmeno alzare la tavoletta con la mano sulla fronte come gli hanno insegnato da piccolo, per evitare le vertigini.
Tira lo sciacquone. Ma continua a tenersi la fronte con la mano destra, ancora una leggera vertigine.
Comincia anche a sentire il freddo delle mattonelle, il sudore che ha bagnato il pigiama, l’odore acido del suo vomito. Sono segnali sgradevoli che lo riportano sulla terra. Non c’è nemmeno più il tappeto. I suoi piedi non lo trovano.
La vertigine della mattina”l’aveva chiamata la prima volta, cinque anni fa e poi solo un’altra volta era tornata.
Si era preoccupato. Aveva anche fatto analisi mediche complesse. Ma niente
Mario Rastrelli, 36 anni, professione bidello, era sano.
- Lei somatizza le sue ansie, le sue preoccupazioni, provi a stare più tranquillo, a parlare di più…provi a prendersi una camomilla tutte le sere, vedrà che starà meglio – gli aveva consigliato il medico della mutua.

Alle 7.10 esce dalla doccia.
In accappatoio alle 7,17 accende la moka già preparata sul fornello in cucina.
La moka gorgoglia. Clarice la sua gatta siamese gli si struscia alle gambe e chiede croccantini insistentemente. Non vuole carezze quando è affamata. Solo cibo e il prima possibile.
Alle 7.30 chiude la porta di casa ed esce. E’ aprile, ma l’aria è ancora fredda di mattina. Con un cappello sarebbe stato meglio. Ce n’è uno a casa, giallo, ma è davvero troppo piccolo.
Alle 7.35 è davanti al cancello della scuola. Apre, dieci passi e poi il portone.
Tra un’ora la prima campanella, dopo cinque minuti la seconda.
In genere due o tre bambini arrivano in ritardo e vengono accompagnati dentro dalle mamme distratte. Sempre le solite.
Poi arriva Robertino, in cortile sulla bmx seguito dalla sua mamma giovane, anche lei su una bicicletta bianca da bambina. Lei non entra. Lo saluta senza nemmeno scendere e riparte pedalando con le scarpe lille di plastica e con una busta semivuota attaccata al manubrio.
Roberto, occhi grandi e neri, entra a scuola sempre a testa bassa, quasi a scusarsi di tutto: del ritardo, di come è vestito, della sua famiglia strana.
Si dice che il padre beva, e sia violento, che faccia il muratore e che abbia due mani enormi. Che picchi anche sua moglie.
- Non che se lo meriti, ma stesse più a casa dietro al figlio e al marito…- dicono le mamme con i foulards ai colloqui con le maestre.
Povero Robertino, ma come si fa a non intervenire?
I bambini nel frattempo stanno arrivando. Urlando. Quelli delle prime, delle quinte, con le cartelle, gli zainetti, pieni di merendine e succhi di frutta all’albicocca.
Rumorosi, quasi insopportabili.
Seconda campanella. Arrivano le maestre. Le aule si chiudono e ricomincia il silenzio finalmente.
Arrivano adesso le due mamme ritardatarie con Filippo e Gianna: II B e III C.
- Arrivederci, ci scusi abbiamo fatto tardi.
Filippo e Gianna sono già nelle loro classi.
Manca Robertino. Passano i minuti. Ma stamani proprio non arriva. Forse si sono dimenticati di svegliarlo.


Alle 10 arriva una macchina dei carabinieri, escono in due.
Vogliono parlare con la preside.
Franca, l’altra bidella, corre a chiamarla. Scende trafelata una donna tarchiata con i capelli a nido di paglia
Robertino è scomparso. I genitori si sono accorti che non era rientrato a casa, solo ieri all’’ora di cena. La preside non sa niente.
- A scuola oggi non si è visto – ripete anche Mario sconvolto- me ne sarei accorto se fosse arrivato, è sempre l’ultimo.
Una per una vengono sentite anche le insegnanti. Nulla.
Si decide si parlare anche con i compagno di classe di Robertino, la classe III B.
-Io l’ho visto mentre andavo dal dentista con mio babbo in macchina – dice tranquillo Pierluigi, un quattrocchi con l’apparecchio – era in Piazza Grande accanto alla fontana con un uomo sporco.
I carabinieri lo accerchiano, ma cercano di non spaventarlo
come sporco? Non ti ricordi come era fatto?
- Sporco, ma sporco da lavoro – dice scocciato il quattrocchi – era alto e moro.
I carabinieri tornano ad interrogare il padre, un omone con gli occhi rossi che piange come un vitello scannato. Conferma di avere salutato Robertino davanti alla fontana proprio a quell’ora.
L’ha detto pure agli altri carabinieri che lo hanno interrogato il giorno precedente.
Poi alle 17 la svolta.
Si è sparsa la voce in paese che i carabinieri si sono radunati in massa alla vecchia discarica. Qualcuno ha trovato qualcosa. Interessa molto il “qualcosa”.
Mario arriva lì ansimante, insieme a una quindicina di persone che vogliono vedere mentre si delimita il luogo con del nastro bianco e rosso. Mezzo paese è dietro quel nastro adesso.
Il padre del bambino è a capo basso appoggiato all’ambulanza. La madre è dentro che singhiozza senza lacrime come se le mancasse l’aria e lancia grida come un uccello rapace.
Intorno solo sporcizia, ferri vecchi, lampade, materassi, frigoriferi rotti
Mario disperato cerca di scorgere qualcosa, magari il padre, quel delinquente, ma c’è troppa gente davanti a lui Ma dov’è Robertino? Dov’è? Sgomita e riesce ad arrivare in seconda fila, davanti ai compagni di lavoro del padre, increduli.
Uno di loro si volta e scoppia a piangere, uscendo dalla folla. Mario si insinua e adesso vede tutto. Proprio tutto.
Una manina bianca che esce da un rotolo, un tappeto arrotolato.
- Il mio tappeto! – l’ultima cosa che riesce a pensare. Poi una vertigine forte che lo schiaccia alla terra e un colpo alla nuca. Mentre tutto si appanna, divise nere e rosse su di lui e grida ad ondate:”assassino!”.






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